La musica che costituisce la colonna sonora dell’omonimo film di Edoardo Winspeare sembra trasudata, restituita dalle mura della masseria salentina in cui è stata registrata. È fatta di canti d’amore e pizziche tarantate, di brani tradizionali strappati al silenzio di queste campagne e nuove composizioni risucchiate nel vortice, immesse nel respiro circolare (o nella sanguigna circolazione) della cultura popolare della Grecia Salentina. Il "battito" vitale di Lamberto Probo e Pino Zimba, le penetranti linee vocali di Cinzia Marzo e Raffaella Aprile, organetti, nacchere, violini, flauti e chitarre si avvitano ed esplodono in una musica magica, che spreme via le tossine attraverso lo sfinimento.
http://www.blogfoolk.com/2011/02/i-personaggi-del-folk-intervista.html
E’ dal 1993 che Zoe’ batte i colpi orgogliosi e sciamatici della pizzica del Salento.
E’ la musica di cui parlava De Martino nella "Terra del rimorso" tanti anni fa, riesplosa in queste estati in mille feste con contaminazioni fra acustico ed elettrico, elettronica e pelli tese. Dopo "Pizzicata", il gruppo Zoe’ ha rinnovato la collaborazione con il regista conterraneo Edoardo Winspeare: il risultato, splendido, è nel film (dove vedete Lamberto Probo e Pino Zimba, i due travolgenti tamburellisti della formazione) e in questo cd che ne porta il nome. Registrato nella masseria storica dei Winspeare, ospite l’incredibile armonicista Umberto Panico, Sangue Vivo è un fiotto d’energia sferzante, fecondo, assolutamente inarrestabile, selvaggio e dolcissimo nelle voci.
Il Cd è enhanced: il che significa che troverete notizie, immagini dal film, particolari biografici su questo piccolo capo d’opera che onora il nuovo folk italiano.
Dieci anni di lavoro sulla musica tradizionale salentina hanno corrisposto ad una crescita esponenziale del ‘fenomeno Pizzica’ che ha finito per valicare i confini del Salento. Dieci anni di Officina Zoe’, ma anche di Canzoniere Grecanico Salentino, Mascarimiri, Sud Sound System, Nidi D’Arac e moltissimi altri gruppi, moltiplicatisi in ragione di una riappropriazione culturale che, nelle sue varie forme, è stata una vera e propria reazione a catena. Certamente fra gli originatori del fenomeno c’è proprio quell’Officina Zoe’ che oggi raccoglie consensi e riconoscimenti unanimi, dopo il successo di critica e di pubblico del film ‘Sangue Vivo’, di cui sono protagonisti sia in veste di attori che di autori interpreti della colonna sonora. Incontrarli e soprattutto vederli suonare ‘in casa’ dà la misura di quanto il tarantismo sia radicato nella quotidianità della gente salentina: bambini, giovani e anziani che danzano insieme la pizzica, con lo stesso sorriso dipinto sul volto e lo stesso sincero entusiasmo. Sembra che sia sempre stato così, ma in realtà si tratta di una rinascita testardamente voluta e cercata, che ha sì trovato alimento in una tradizione secolare, ma che non sarebbe avvenuta se non si fosse andati a liberare il fuoco dalla cenere che lo copriva.
Con Pino Zimba, Cinzia Marzo e Lamberto Probo, alcuni dei componenti dell’Officina, siamo andati in cerca delle ragioni più profonde di un fenomeno unico in Italia per portata ed energia… segue l’intervista.
Il nuovo CD di Zoe’ non è solo colonna sonora del secondo film salentino di Edoardo Winspeare, al quale i musicisti di Zoe’ partecipano anche in veste di attori, ma è album che emana luce propria: un’opera pulsante costruita su brani tradizionali e su nuove composizioni, elaborate da artisti che sanno raccogliere l’energia della terra salentina.
Proseguendo nell’idea di continuità con la tradizione, i membri di Zoe’ descrivono con la loro musica gioie e dolori, di ieri e di oggi. La pizzica è l’elemento essenziale di Sangue Vivo, ma nel disco non mancano momenti lirici. Centrale è il battito del tamburello, che è stile di vita per Zimba e Probo, sul quale tessono armonie intricate gli organetti diatonici di Pisanello, le corde e gli archi di Miggiano e De Nicola.
Magnifica la vocalità strettamente salentina di Cinzia Marzo e Raffaella Aprile, interpreti di tutto rispetto, sia come individualità vocali, sia nelle espressioni polivocali.
Officina Zoe’, o più semplicemente Zoe’, è una band pugliese che da sette anni si impegna con successo nel recupero e nella propaganda della musica (e quindi della cultura) del suo Salento.
A seguire l’autoprodotto "Terra", la nutrita compagine – ben sette elementi, con largo uso di strumenti quali tamburelli, nacchere e organetti diatonici affiancati a chitarre, violini e flauti – ha adesso realizzato questo ‘Sangue Vivo’, che pur possedendo una sua autonomia artistica contiene anche brani della colonna sonora dell’omonimo film di Edoardo Winspeare al quale alcuni membri hanno partecipato come attori. L’album contenente due strumentali e otto episodi cantati (da voci quasi sempre femminili) di spesso lunga durata, è un viaggio insolito e ricco di fascino nei meandri di uno stile per lo più fondato sulla percussività, ma aperto anche a situazioni distese e avvolgenti (si veda, a tale proposito, "Nifta Maiu", quantomai suggestiva); il tutto, ed è un grande merito, sviluppato in composizioni in massima parte autografe, senza esagerare in quelle riletture di materiale antico che in molti casi sono indicative di una certa "rigidità" di approccio agli interpreti. Matrice folk, insomma, ma energia e istintività molto "rock", un po’ come accadeva – rispetto alla canzone napoletana – con certi brillanti lavori nella Nuova Compagnia di Canto Popolare nei ‘70.
E’ un disco insolito ma stimolante, che merita l’attenzione di un pubblico più ampio di quello dei soliti cultori delle tradizioni della Pizzica.
Like the blues of the Mississippi delta, the musical form — baked under the cruel sun of this extreme southeastern limb of Italy — took root in the fields. It was a tautly-wound, fiercely upbeat musical release valve from the inescapable pressures of a life of hard work, under a rigid social system.
Like the blues, the pizzica has a myth surrounding its creation: nothing so concrete as the devil at the crossroads, but several centuries more ancient. The music was viewed as the means to heal the bite of the taranta, a legendary spider who bit workers — especially women and most often during the months of harvest — and whose exorcism required multiple hours-long sessions of trance-induced ritual dancing.
Like the blues, pizzica salentina has young practitioners who passionately champion the music, while others in the local arts community view it, at worst, as a useless folkloristic leftover.
Redefining such a music for a modern audience is a delicate task.
"It’s like finding an architectural structure, where at some point they built a stone wall in front," says minimalist composer and pianist Ludovico Einaudi, concert master at this year’s La Notte Della Taranta festival. "Take away that wall, and the structure regains all its glory."
If the pizzica is Salento’s blues, the music’s recent ascent should be viewed as part of the rising fortunes of Puglia, a booming region whose territory extends to include the heel of the Italian boot. Salento is the sole of the heel — as local legend has it, the Romans called this finibus terrae, the end of the Earth.
As Puglia has emerged in the past decade as a key player in south Italy’s economy, Salento has become the region’s biggest tourist draw — a sun-kissed land with some of Italy’s best beaches and baroque buildings.
During this period, pizzica has also found new life, as part of a youth-driven renaissance in local arts and music. Musical ensembles with members in their 20s and 30s have championed the music in Puglia and throughout Italy. Simultaneously, the region itself has been riding a wave of cultural ascendance.
"This has always been a place full of artistic ferment," says Piero Rapana, vice president of Fondo Verri, a cultural center that stages plays and readings of work by young local artists in Lecce, Salento’s most important city. "But there were never spaces for artists. In the last 10 years things have changed. Now there are many spaces, maybe too many. Some of them are big, too."
The most apparent manifestation of change and growth in Salento is La Notte Della Taranta, a two-week festival that places pizzica at the center of a program of world music. The festival, which this year takes place Aug. 13-28, brings in a concert master to select outside participants and arrange the music for the final concert. In the past Stewart Copeland of the Police has been at the reins of the festival; this year, it’s Mr. Einaudi.
The festival presents travelers a chance to visit Salento in the best way: from its urban periphery, to the region’s wild, rural interior.
Giorgio Doveri, who moved to Lecce 10 years ago to play violin for acclaimed local group Officina Zoe, says Salento’s pizzica "is a meeting between order and disorder, chaos and rigidity, in an emotional vortex that travels on the rails of minimalism and repetition."
Mr. Doveri’s membership in Zoe is an example of the kind of pull the pizzica exerts in Italy right now. Mr. Doveri first heard the music while studying in Tuscany, through the concerts of pizzica ensemble Niuri te Sule. Both bands now operate in or near Lecce, a metropolis of about 100,000 with an historic center known for its startling baroque architecture.
In Lecce, balconies adorned in wrought iron hug narrow streets; the facades of churches are decorated with images of saints and beasts, fluted columns and baroque evocations hewn in the soft, yellowish rock known as pietra leccese. And Salento’s youthful cultural vigor is in full evidence.
The compact historic center, laid out between three gates, can be visited in one or two days. The finest example of Lecce’s baroque is the Santa Croce basilica, a 16th-century church whose ornate facade is iconic of the city. By night, theater and music are sometimes staged at the roman amphitheater at Piazza Sant’Oronzo.
Lecce’s independent Undici Ottavi (11/8) label manages a number of groups — some of whom have performed at La Notte della Taranta — who mix the sounds of the area with jazz, rap and Balkan music. The label also manages Livello Undiciottavi, a new complex that opened earlier this year five kilometers outside the city to provide artists with recording studios and performance venues.
Cesare Dell’Anna, an accomplished jazz trumpet player who heads the label, emphasizes that the future of Salento’s music scene lies in mixing old forms with modern ideas to create new connections.
A train ride alone, from Lecce to the inner core of Salento, is an instant trip into another era. Two-car convoys, whose engines rumble like 18-wheel trucks, cut across a dry, red-tinted land parceled by a geometry of stone walls and red earth covered by olive trees and tobacco fields. This is the heartland of Salento. Ten small communities recently christened themselves Grecia Salentina, literally translated as Greek Salento. Among other distinctions, the inner Salento is known for the use of Griko, a Greek-infused language that bears little resemblance to the Salentino dialect, and whose use has waned with the postwar generations. The wave of groups revitalizing the pizzica has allowed Griko to survive at least in embalmed form through the music.
"Those things that are bad are erased with time, and this is right," noted Gigi Specchia, an artist from the town of Sternatia. "But we lose the good things as well, and I’m sorry for that. Because that was the language of our fathers."
La Notte Della Taranta started in 1998 as a locally focused festival, part of a region-wide effort to revitalize Grecia Salentina’s fading ancestral heritage. The festival is itinerant, with concerts passing through a number of Grecia Salentina’s towns. Visitors, though, should stop at Sternatia’s Lu Puzzu pizzeria on a Tuesday night, when folk players young and old gather for a weekly impromptu pizzica session.
A public square anywhere, from bustling Gallipoli to the timeless seaside town of Otranto, can on any night become the site of a concert or a festival.
The essential stop, though, is Galatina, a city of about 30,000 that was once the destination of tarantate victims from throughout the region who came to seek the blessing of St. Peter, considered their patron saint. Scholars such as Ernesto De Martino have catalogued how poor families subjected themselves to the expenses involved in bringing afflicted relatives to the city; so strong was the draw of tradition and superstition.
The belief system behind tarantismo died out decades ago, but the three-day festival of Saints Peter and Paul at the end of June is still the best place to get a contemporary view of the customs once associated with it: especially compelling is the late-night phenomenon known as le ronde, improvised street performances of dance and music.
The performance on one night earlier this summer began with the sudden two-tone blast of a zampogna, an Italian bagpipe. As the instrument’s drone bounced off the walls of encroaching buildings, other musicians move in, forming a circle — here a guitar, there an accordion and several performers wielding the tautly-skinned hand drums known as tamburelli. An insistent, driving rhythm filled the space, and within seconds, a pair of well-versed dancers stepped inside the circle, wrapped in a trance, eyeing each other across the cobbles as they followed the steps of an ancient courtship dance. This resembles the purest form of pizzica.
"I’ve found it’s nicer on the streets than on a stage," says concert master Mr. Einaudi, whose task is to assemble a program that reflects his own orchestral sensibilities, while staying true to the time-tested spirit of the music. Minimalism is the link between the two.
"There’s a harshness in the earth here, isn’t there?" he says. "…And it seems to me like both the voices and the instruments reflect this landscape, this earth baked by the sun."
Dal 1993 l’Officina Zoé è una delle formazioni che con maggior forza propone le tradizioni musicali della terra salentina, soprattutto della pizzica, cioé il ritmo ancestrale dell’anima salentina: inebriante e commovente, terapeutica ed esilerante, elemento fra i più forti nella rinascita musicale dell’intero Meridione. Con Sangue Vivo l’Officina Zoé mette a nudo le radici della pizzica, sia quando ne evoca le sofferenze più profonde (Macaria, Don Pizzica, Sale) che nei movimenti della gioia (Yentu e Filia). Commovente ed esaltante, Sangue vivo ha la forza dei messaggi musicali che parlano al corpo e alla mente, spiegando anche perché da molto tempo esiste un feeling fra il sud afro-americano e quello salentino. L’Officina Zoé è una "performance" da vedere dal vivo. Se non si incontrano concerti, l’occasione si può trovare nella visione dell’omonimo film di E. Winspeare di cui Sangue vivo è la colonna sonora.
Zoe’ è un gruppo salentino di musica tradizionale particolarmente legato alla pizzica, il noto genere locale le cui origini si perdono nel tempo. Con Sangue Vivo, colonna sonora dell’omonimo fortunato film di Edoardo Winspeare, il gruppo può finalmente puntare all salto di notorietà. Ciò che colpisce immediatamente in questo album sono quei brani serrati in cui la pizzica esplode nella sua manifestazione ipnotica pregnante, dovuta in gran parte al crescendo ritmico dettato dalla percussione frenetica dei tamburelli. Una frenesia che spinge al ballo e al movimento ossessivo, tanto da essere utilizzata nel passato come veicolo di trance o addirittura come fonte terapeutica. I sette elementi del gruppo si esibiscono al meglio con una ritmica corposa che, quando non prende il sopravvento, fa da tappeto al solismo della chitarra e alle splendide esternazioni vocali delle due interpreti femminili, una dal timbro veracemente popolano, quasi da strada, e l’altra più acuta e esistenziale, che si alternano o si sovrappongono nei vari pezzi.
Un lavoro eccellente a supporto di un ottimo film. Voto: 7
Perché: è un buon modo per fare conoscenza con la pizzica, genere musicale sottovalutato, ma ricco di temperamento e sonorità. un album che decreta la maturità artistica ed espressiva dei suoi interpreti.
La pizzica, l’antichissima tarantella dagli influssi moreschi suonata in Salento, rivive e trova una propria degnissima consacrazione in questo CD, nato come colonna sonora dello straordinario film di Edoardo Winspeare. Atmosfere arcaiche e canti popolari si fondono in un’ottima contaminazione artistica, proponendo i propri ritmi antichi come riflesso musicale della nostra modernità, trasformando una pellicola ispirata alla frontiera pugliese dei giorni nostri in una sorta di Pulp Fiction meridionale. Il cd propone inoltre un libretto molto dettagliato dove, oltre alle spiegazioni delle canzoni e alle note musicali, è presente anche la traduzione in italiano e in inglese del testo originale.
E’ in atto una vera e propria riscoperta della pizzica salentina, musica viscerale e travolgente…..così dalla Puglia si è propagata la febbre di questo ritmo ancestrale e popolare, capace di esprimere euforia come malinconia, che parli d’amore, lavoro o di emigrati. Il ritmo dei tamburelli nelle pizziche tarantate (dal morso della taranta, che si contrastava ballando fino a raggiungere uno stato di trance) è frenetico, irresistibile. Ascoltare per credere l’iniziale Don Pizzica e i 9 minuti di Sale. Ma i dieci brani sono tutti da scoprire, ora trascinanti ora sensuali, con le percussioni a mano di Pino Zimba e Lamberto Probo e un ensemble cui auguriamo un posto in prima fila nella famiglia della world music.
Sabato sera al Teatro Kismet di Bari il concerto dell’Officina Zoè è stato un evento di portata non solo musicale….Al termine delle due ore di musica, ballavano tutti. Sembrava un battesimo, un rito collettivo dedicato alla celebrazione della “pizzica”. Di quel movimento di riscoperta della più antica e travolgente forma di ritmo popolare presente in Puglia….La cosa più interessante del loro lavoro è, oltre alla riproposizione, il rinnovamento del repertorio della pizzica, attraverso brani originali che rispettano lo spirito e a volte anche la lettera della tradizione. I timbri sono quelli di sempre, il ritmo batte senza tentennamenti a rinnovare l’antica magia di una “trance” povera e contadina. Ma le facce sono cambiate….E il disagio di cui l’Officina Zoè si fa oggi portavoce è quello di una moderna società urbana, che costruisce la propria identità a partire dalla tradizione, ma interpretandola come emergenza e come “attualità”.
L’Officina Zoè in concerto è una oliata macchina da guerra. Musica popolare salentina, l’impatto unico e travolgente della pizzica, delle serenate e delle ninnenanne in griko, i doppi sensi degli stornelli sono stati il tema conduttore del concerto di sabato al Teatro Kismet. Un teatro pieno in ogni ordine di posti per tributare la dovuta attenzione, con il semplice ascolto ma anche con il canto e con il ballo, ad un genere musicale che sta ritornando alla dignità di un tempo.
Tra i diversi modi di interpretare la musica popolare, tra la riproposizione, trasmissione inalterata di quanto si è raccolto sul campo, e la sua innovazione radicale…c’è una via di mezzo. Che stranamente viene poco seguita….Una filosofia su cui Officina Zoè ha costruito l’ultima parte della propria carriera….esprimendo la vera anima della musica popolare, quella della tradizione viva che crea nuove canzoni.
Salento come Santeria o Candomblé, Officina Zoè come rito di Ossessione e Possessione. Sangue Vivo che pulsa e sprizza da ogni goccia di sudore. Può riassumersi così la coinvolgente esibizione romana del gruppo che con il film omonimo di Winspeare ha fatto il giro del mondo riscuotendo ovunque ottimi successi.
Il concerto, più che una riunione musicale, è una cerimonia; presi dalla furia dionisiaca i musicisti sono letteralmente coperti dal pubblico che si scatena sotto il palco al ritmo della pizzica tarantata….Il pubblico ha voglia di ritmo e il locale romano sembra inadatto a contenere l’energia che vaga nell’aria. Ma qualunque ambiente chiuso sarebbe inadeguato. Questa è musica da aia, da masseria, da piazza, da strada aperta e nessuna definizione, se non sangue vivo, riuscirebbe ad esprimere perfettamente il flusso di energia che il gruppo riesce a sprigionare nel live set. Bravissimi tutti i musicisti e le due cantanti, abili a sclafire e graffiare, a sedurre e penetrare anche l’ascoltatore più indifferente.
CLUTCHING a bunch of long-stemmed flowers, Mark McNairy held them just below his belt buckle and gave a hired party photographer a leering grin.
It was late. A buttery sickle moon nicked the dark sky above Chianti. The air at a classical Tuscan villa set high on a hill was scented with jasmine and with other more potent aromatics. A group of musicians imported from Puglia for the evening was working the crowd to a pitch, playing the music of the taranta, an ancient folk dance that ends in a dervish frenzy intended to shake off the pain of living.
But Mr. McNairy was feeling no evident pain. Neither were the 100 other guests invited to the Milky Pig party, given by Woolrich Woolen Mills during Pitti Uomo, the colossal men’s wear trade fair that twice yearly attracts flocks of fashion peacocks to this city.
Typically speaking, Mr. McNairy is a buttoned-down type, a responsible new father and a fashion designer known for his work with sober, traditional brands like J. Press. But if spending a lot of time around the occupationally attractive teaches you anything, it’s that if style is a tool, it’s also a trap. And while the social constraints of being female suggest that women who work in fashion don’t get many opportunities to loosen their corsets (although there was that party in Paris one season, where one highly placed editor was spotted on the dance floor with her skirt above her head), the same cannot be said of their male counterparts.
That is why the Milky Pig party — and, in fact, Florence — is always a hot spot on the circuit.
Few can be expected to recall that a fashion cycle that seems so entrenched was not always as organized as it is now. New York used to come at the end of the show season, a boon for designers dedicated to the sincerest form of flattery. Milan followed New York.
And long before Milan became a fixture on the fashion calendar, shows in Italy were held in Rome. Florence eventually stole Rome’s thunder; then Milan, in turn, swiped the shows from Florence. Now there is a move afoot to restore the primacy of this Renaissance city as the key destination for both fashion designers and buyers.
To that end, Pitti Immagine, the Florentine fashion trade group, last year hired the public relations agency that represents Jil Sander. Soon enough, Jil Sander’s designer, Raf Simons, decamped from Milan and decided to show here, expecting the international press would follow him, which it did. “We needed some provocative gesture,” Lapo Cianchi, the Pitti communications director, said before the Sander show, which was held in the garden of a villa overlooking the city.ù
Haider Ackermann also chose Florence for his first men’s wear show, and it is no struggle to see why. While Milan hardly lacks historical structures, nothing there touches Florence as a stage set for the pageant of fashion. The Ackermann show was in the Palazzo Corsini, where long tables were set in a salon as if for a feast, and guests were seated on velvet sofas, Biedermeier chairs and Regency settees.ù
It was, said Gianluca Longo, the style director of the London Evening Standard magazine, “completely civilized.”ù
The Milky Pig party was, by contrast, a bit more rustic. It’s part of the amazement induced by this city that one can — if, that is, one happens to be Joerg Koch, the editor of the small but influential Berlin journal 032c — riffle through invitations in the comfort of a vast hotel suite featuring a grand piano and frolicking putti, and choose which gilded salon one will have drinks in, which show one will see in which palazzo, and at which after-party in which dive (Crisco Disco is popular this week) one will end the night.
At 7:30 Wednesday evening, Mr. Koch boarded a shuttle bus of the sort usually filled with tourists, along with Carlo Antonelli, the editor of Italian Rolling Stone, and other colleagues, and rode 70 minutes to reach the Milky Pig party, down a country road marked with two enormous umbrella pines.
The unstated theme of the party was heritage, since Woolrich Woolen Mills, one of the oldest continuously operating mills in the United States, was fading fast until it was revitalized some years back by a partnership headed by the Italian Andrea Cane and aided by the designer Daiki Suzuki, who filtered a selection of American classics through his distinctively Japanese sensibility.
“There is a big obsession all over the world with heritage brands right now,” Valeria Caffagni, the marketing director of WP Lavori in Corso, which licenses Woolrich globally, said at the Milky Pig party.
“Like all obsessions, it will be done in a year,” she added, but that judgment may be premature.
It is certainly worth noting that everyone, including commercial giants like J. Crew, has suddenly introduced editions of “iconic” stuff like Quoddy moccasins (still hand-stitched in Maine); that Levi’s rolled out plans to reproduce classic jeans from the 20th century in limited editions; that Timex announced it would bring back the Twist-O-Flex band.
On a smaller scale, investors hunting down venerable labels have snapped up firms like the fabled English cobbler Grenson, whose thick-soled brogues are currently the shoe to covet among the fashionable in Florence, who wear them without socks and with skinny khakis rolled up Tom Sawyer-style.ù“The young customers we have now are, like, really hip kids,” Mr. McNairy once told The New York Times, referring to a new generation of J. Press customers, the same ones he presumably plans to attract in his new job as Mr. Suzuki’s successor at Woolrich.
Mr. Koch, of 032c, pointed out that “heritage is usually better when it’s somebody else’s.” As he spoke, guests filled their plates with mounds of the spit-roasted suckling pig for which the party is named. Waiters circulated with platters of batter-fried zucchini flowers and crisp sage leaves glazed with anchovy paste. Two young bartenders were kept busy popping corks from bottles of ice-cold wine.
“Future, past, present, it’s all the same” to the bright talents behind labels like Woolrich Woolen Mills, Mr. Koch added. “What’s great is that it’s not tied up in the ideas of futurism or in nostalgia.”
It is history, someone suggested, without the actual bother of learning history. Mr. Koch laughed at the thought, and then the band struck up some crazy tune and Takeharu Sato, the fashion editor of the international digest Monocle, leapt onto the grass in a straw hat and patterned kimono, and suddenly a scene crystallized in the Tuscan night that was something like a Fellini bacchanal staged by Riverdance.
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